“Beyond walls” di Saype

Otto marzo 2021. Vi rendete conto dell’ossimoro? Quando ero ragazzina, pensavo che nel 2021 avremmo sfrecciato nei cieli con le nostre astronavi personali in tenute unisex argentate e luminescenti, il mondo sarebbe stato governato da Saggi votati all’interesse comune e l’abbondanza delle risorse sarebbe stata condivisa tra tutti senza distinzione di censo, credo o razza. Avremmo conquistato un’era di pace e armonia perché menti maturate in condizioni di buona ed equa sanità, di istruzione eccellente e innovativa, di parità di diritti tra i generi avrebbero elaborato le tragedie che hanno sconvolto il ventesimo secolo e ridisegnato il Paradiso in terra.

Ma ero una ragazzina, appunto. Cresciuta nell’ottimismo di anni in cui il progresso ancora non mostrava apertamente le sue crepe, nella porzione occidentale del pianeta (la più fortunata) e, fatto per me scontato ma che ho scoperto negli anni essere un’eccezione, in seno a una famiglia che, per malasorte o per mala costituzione delle coppie, una generazione dopo l’altra aveva finito per ritrovarsi con un assetto matrilineare. A casa mia erano le donne a comandare.

A casa mia, inoltre, l’otto marzo era una ricorrenza appena tollerata, e le mimose considerate fiori portatori di allergia. Chi avrebbe dovuto festeggiare chi, davanti all’evidenza che le donne avevano già issata e sventolante la bandiera dell’autonomia dall’uomo, portatrici di tanta orgogliosa e indiscutibile dignità? Va detto che gli anni settanta avevano lavorato a vantaggio di quella presunzione: mia madre non avrebbe potuto scalare le sue vette professionali sfoggiando in tutti i contesti il proprio cognome da nubile, né sarebbe uscita indenne da un matrimonio rovinatosi in stile Guerra dei Roses [click], senza poter chiedere il divorzio.

I fatti, poi, mi hanno disillusa su tutta la linea.

Da quando, in un battito di ciglia, mi ritrovo qualche decina d’anni più avanti nel futuro, ecco che il 2021 mi mostra, sì, persone in tenute unisex, argentate e luminescenti che dicono di fare la rivoluzione, ma sono rinchiuse nel vuoto pneumatico del teatro Ariston e cantano festose un inno al sentirsi incompresi e affetti da sindrome persecutoria [click]; mentre, soprattutto, fuori da lì impera la virtualità di ego irriconoscibili rispetto all’originale, persone che, per non saper che pesci prendere, gridano sempre più forte il valore dell’apparenza e dell’omologazione a questa o a quella categoria, con una disarmante estremizzazione degli stereotipi di genere.

Lo stereotipo di genere costituisce un rassicurante salvagente nell’attuale patimento di una doppia condizione di esclusione: quella imposta dal Covid-19 e quella, preesistente alla pandemia, di perdita di un’identità definita. Boccheggiamo in questo mondo liquido? La soluzione è alzare le barriere [click], a quanto pare.

Come forma di difesa è comprensibile. Ma è messa in atto da chi non si ritrova altri strumenti, anche frugando nelle tasche dell’esperienza fino a bucarne il fondo, quando la società non arriva a svolgere la sua funzione educativa e le esperienze fatte alla cieca, fidandosi della didattica dei social, sono le uniche che ci si può permettere.

Nel 2021, secondo anno in cui l’umanità non può uscire di casa senza sembrare sul punto di compiere una rapina, per l’obbligo di indossare le mascherine, la civilissima Svizzera impone a una minoranza del tutto femminile un codice di abbigliamento che ne mortifica le credenze e limita le libertà: il divieto di indossare il velo prescritto dalla religione islamica, ufficialmente per non “dissimulare il volto” [click].

Nel 2021, andando alla ricerca della parità di genere nella composizione dell’Almanacco del giorno sul profilo Instagram di Qulture (storie come brevi video, contenenti le citazioni di letterati celebri nel giorno del loro compleanno) [click] ho potuto constatare la scarsissima rappresentanza femminile tra gli autori, e questo scandagliando ogni epoca e ogni paese. Nonostante la disparità evidente però, è indubbio che la scrittura femminile, specialmente quando riesce a concretizzarsi nell’invenzione di una o più personagge* che esprimono le caratteristiche e le contraddizioni del femminile del tempo presente, sia capace di una lettura rivoluzionaria della contemporaneità e, al tempo stesso, di far compiere ulteriori passi a una silenziosa, lunga e difficoltosissima rivoluzione: l’emancipazione del genere femminile (con tutto il rispetto, altro che Maneskin).

Le donne letterate, benché o forse proprio perché a tutt’oggi schiacciate dal pregiudizio, dal lobbismo dei colleghi di altro genere, o semplicemente dall’impossibilità di dedicarsi a un’attività considerata ultimamente alla stregua di un hobby (che, se affrontata seriamente, è anche decisamente costosa), quando scrivono lo fanno attingendo come a una forza primordiale, dando fondo a riserve di intelligenza e di creatività di cui forse nemmeno ipotizzano l’esistenza prima di posare le dita sulla tastiera (o, sempre meno, la penna sul foglio).

Sono di certo persone in grado di sollevarsi dalle difficoltà contingenti e, infischiandosene del giudizio altrui, di tuffarsi di testa nella liquidità contemporanea senza averne paura ma, anzi, sguazzando nell’esplorazione. Sapendo che dentro l’acqua non conta affatto a quale genere appartieni, ma solo se sei in grado o meno di nuotare.

Si tratta di privilegiate, quindi?

Non ho questa risposta. Ma, se toccasse a me dare un’opinione, giurerei che queste donne che, come nella scrittura, si fanno strada a testa bassa nelle discipline artistiche o scientifiche con dedizione, scrupolo e passione, hanno avuto fin da ragazzine le giuste imbeccate, in via diretta o per osservazione delle vite altrui. Talvolta tramite i libri. Si fanno forti del loro essere parte di un flusso ininterrotto di esistenze che allacciano le mani attraverso i secoli.

Oggi, otto marzo del 2021, osservo che abbiamo ancora molto da mettere in luce, da far risplendere come meriterebbe, della normalità dell’universo femminile. Si tratta di un processo che non va abbandonato al solipsismo dei social, a pena di un’inesorabile regressione che finirebbe per travolgere tutti.

Madri (padri, nonni, zii e tutori): continuate a infondere nelle figlie, come nei figli, la minima ma indispensabile certezza di non meritare un’unghia di meno di ciò che sognano e che sanno di valere. Insegnate loro i fondamenti del galleggiamento nella società liquida, il piacere di ammirare dall’alto i suoi fondali. Dite loro che i capi unisex argentati e luminescenti si possono indossare ogni giorno, non solo sulle ribalte riservate ai sogni ancora da avverare.

Questo gesto resterà come un faro nella notte, diventerà la speranza di un riscatto, la spinta a ribellarsi e a non cedere mai davanti alle difficoltà piccole e grandi che si presenteranno nella vita.

Di generazione in generazione, diventerà il virus più potente e finirà per annientare il lato malato e indegno dell’umanità.


*) Consiglio la lettura dell’importante saggio a cura di Roberta Mazzanti, Silvia Neonato e Bia Sarasini, dal titolo L’invenzione delle personagge pubblicato nel 2016 da Trerefusi srl per Iacobelli editore.

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