Ella Fitzgerald Nasce in una piccola città della Virginia, Newport News, il 25 aprile 1917 da una famiglia povera che poi si trasferisce a New York in cerca di fortuna. Purtroppo rimane orfana a 14 anni. Quindi conosce quartieri poverissimi e orfanotrofi. Sembrava avere un destino segnato dalla malasorte ma a 17 anni vince un concorso per giovani talenti. La famosa band del batterista Chick Webb la scrittura subito e inizia la prima serie di successi swing. Ella, già allora, non era solo una giovane e talentuosa cantante, serbava ben altre sorprese. Prematuramente Chick Webb muore e lei, senza alcun titolo di studio, a 22 anni prende in mano la band. Potrebbe accontentarsi di mietere successi e consensi che arrivano ovunque si esibisca ma Ella è un’artista a tutto tondo e non vuole cantare solo swing.

Negli anni ’40 abbraccia il bebop intellettuale, elitario (citato anche da Allen Ginsberg nella celeberrima L’Urlo) riuscendo a farlo convivere con le esigenze dello spettacolo. E ci riesce soprattutto grazie allo scat, improvvisazioni vocali senza parole, solo ritmiche (era quello che spesso riusciva a fare molto bene il nostro Lucio Dalla) che risalgono al primissimo Armstrong. Solo qualche dettaglio collegherà la sua carriera agli esordi swing, come la sua vaga tendenza al tornare bambina o qualche piccola leziosità. Vaghe ombre d’un passato difficile. Ella a 30 anni è già un’icona in America ma la consacrazione planetaria a regina della musica internazionale arriverà con l’importantissimo impresario e discografico Norman Granz, un non musicista, libertario e antirazzista che adorava il jazz e i suoi grandi interpreti. Fu un incontro fortunato per entrambi. A Ella serviva un uomo che la stimasse con lealtà perché rimase sempre umile, timida, insicura e sofferente di trac, il panico da microfono, nonostante fosse stata sempre adorata dal pubblico. Norman, con lei e i più grandi jazzisti dell’epoca, fondò la Verve Records che cominciò a sfornare dischi su dischi di duetti e collaborazioni mitiche.

Per Ella comincia un periodo stupendo in cui la sua libertà artistica trova la massima espressione, innovando e ottenendo clamorosi successi. Nel ’56 duetta con Cole Porter; poi, in rapida successione, Armstrong, Ellington, Berlin. Uno dei capolavori è il monumentale quintuplo album dedicato alle musiche di George Gershwin, punto fermo nella storia della discografia e del riconoscimento ufficiale d’un vastissimo repertorio solo all’apparenza leggero. Nel ’60 esce l’album live “Ella in Berlin” nato dall’indimenticabile concerto tenuto nell’odierna capitale tedesca. Durante l’esecuzione d’un brano, Ella dimenticò il testo della canzone “Mack the knife” da “L’opera da tre soldi” di Brecht e iniziò a ‘scattare’ improvvisando fino alla fine tra le ovazioni del pubblico. Vinse un Grammy per questo album. Uno dei 14 che collezionò in carriera. Ma il suo spirito libero non poteva fermarsi. E allora blues, samba, calypso, classica. Sperimentare, provare sempre e comunque, cercare più in là. Non solo una voce di oltre tre ottave, più pura del cristallo che poteva rompere: dal 1934, una unicità in ogni genere musicale per la trasparenza del timbro, la perfezione dell’intonazione, l’esuberanza espressiva che sapeva travolgere come nessun altro, l’empatia con i testi cantati che osservava sempre dall’esterno, conservando un proprio controllo sullo sviluppo del contenuto. Tutto questo dimostra quanto, oltre all’inimitabile voce, sia stata un’artista completa e inarrivabile.

Si ritirò dalle scene dopo 59 anni di sfavillante carriera. Un maledetto diabete dapprima la rese cieca, poi la costrinse all’amputazione di entrambe le gambe. Morì a Beverly Hills il 15 giugno 1996 e in questo martedì in cui ricorre l’anniversario della sua scomparsa era doveroso commemorarla e dedicare più d’un pensiero affettuoso a una donna stupenda, vera e propria colonna portante che così tanto ha donato alla musica di tutto il Novecento.

Articolo di Giorgio Laika Vanni

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